Perché scrivo?

Perché scrivo?
ma forse meglio:
perché non posso non scrivere?

Sicuramente come il ‘fiore’ di Baudelaire
che vapora a guisa d’incensiere

(“Ogni fiore si svapora come un incensiere”),

così il mio pensiero sprigiona la sua scrittura
come
-I Prigioni- di Michelagnolo aggallino dalla pietra.

Quasi che lo scriba di se stessi
sia
un disseppellitore dell’anima.

L’istanza improcrastinabile addiviene per me volo icario,
che per chi danzi il fuoco di sé,
sarà cadere nel cuore del sole in piedi,
coll’ali sapientemente dispiegate sull’universo.
Non più esiziale brama,
ma l’audacia ulisside di cimentarsi teatro barocco di sé.

Allora scrivere per me è inveramento di pensiero:

è vivere!

E le parole hanno la chiarità dell’oro,
quando siano pensate per ‘gesti’ tersicorei,
tolte dal loro ‘narrabile’,
e lasciate sbocciare nei sensi;
dove i ginocchi s’arrampichino sui meli
per raccogliere lune,
vere come il giorno,
presenti come i bar dei caffè ma più vere;
dove le parole sono solo amore!

Scrivere dunque per me
è il momento che mi piace nominare dell’eterno:
un solo punto perfetto,
forse prima che tutto esplodesse,
prima del Big Bang:

la scrittura!

e poi nuovamente quando tutto ci fosse tornato;
la scrittura-punto di fuga rinascimentale del mondo
(da cui tutto parte e a cui tutto arrivi).

“Tre sono i sacri obiettivi:
ama la penna,
ama lo scritto,
ama l libri”
SAYAT NOVA

“nel mio zaino il taccuino per poesia e i gomiti per la ridda ebra
mentre coi sassi piatti edifico vele per il mio guardo ateo indiato”

André Che Isse

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