devo stare dove s’incontrano il guardo di luna e la curva dell’ali
proprio dove nacque l’universo sulle dita inzafardate di miele
così che in arcioni le risa di sole io stamburi su roseti barocchi
tanto che il fiato prenda misura d’eclittica torno le gote amarasche
chi sono io se non scampolo maraviglioso d’eterno?!
e infilarsi scalzo l’ipotenusa d’infinito è dissetare il mare con un calice d’argento
ma non riesco a smemorarmi auriga di doppia elica nucleica da quando la disseppellii
fu come trovarsi gli dèi a tavola con le dita conserte in marmellate ignude
e allora gratugiai le nubi per divorarne il cielo com’entropia d’agnoli tubicini in giudizio
che clangendo lapislazzuli tra le gote, d’ogni atomo fan di naute bolle cinesi lanterne
eccomi chiomoso adunque su ori di guardo pettinato da prima neve del mondo
ne seguo l’impronta di gomito come strale d’arco ulisside che perfori l’universo
André Che Isse