GLI ORTI DEGLI ANGELI

oggi vi racconterò di talloni eudemonici calcagni ebbri di dioniso
non morire ancora amore adesso sei troppo infelice per morire

un cembalista che accorda il suo virginale è felice
il suo filodarianna non si compra al mercato lo possediamo prima di nascere

il cuore che annotta se stesso per paura del giorno non uccide solo te
tu non sai che ogni ora trascorsa a smemorarti ti allontana dalle stelle

è possibile che l’unica eternità stia nella segreta di un attimo
proprio dove il filo ocra di cera prende fiato tra la notte e il fuoco

nella cruna del tempo è l’occhio verticale del fiato cosciente
e se la cimento tra la mia bocca e la tua un filodisaliva sarà teso per sempre

c’è una sola strada per i talloni di dioniso e passa dal sidro del cuore
ma puoi sempre morire giovane senza salire sugli alberi di mela

André Che Isse

TU SEI NEVE

amo l’estate perché è già accaduto tutto e puoi sederti nel cuore del sole
qui il giardino addormenta gli dèi e le nubi adespote proprio dove l’eterno è nato

l’amore che giocava col cerchio ha riempito le tasche di mele
e gli amanti d’estate prendono il loro posto sugli alberi

le tue gote che hanno dato la forma del mondo inzafardate di sole
con i tuoi passi scalzi sull’efelidi come chi non calpestasse le righe

scrivo d’estate per chi è rimasto d’inverno
col calamo nudo di dioniso nella neve del suo cuore

amo la notte perché è già accaduto tutto e il giorno a venire nascerà da un sogno
qui dietro il giardino c’è chi sei veramente per le stelle per gli dèi e per l’amore

se l’anima è immortale è nata d’estate nella notte increata
e tu sei neve nel sole del mio cuore

André Che Isse

LA PELLE DEL CUORE

seduto nel tempo dove principia il pensiero nel cuore di un dio
prima della scrittura prima ancora del gesto che ha pettinato gli alberi

la bocca si appoggia sul cuore come vela del tuo sguardo
misura crapulosa dei baci come curvatura sull’eclittica del cuore

un filodarianna dietro l’universo per tessere nascita di stelle
un filodisaliva per legarti d’amore

i tuoi piedi scalzi sulla pelle del mio cuore
i miei talloni ebbri allunati nel tuo sesso

sarò quello che ora è immoto d’eterno nel battito icario
seduto sull’infinito del tuo albero di gote rosse

ma quando non ti vedo l’amore si ubriaca dove nascono gli dèi
così ti tracanno nel broccato del fiato e rinasco indaco di poiesi

André Che Isse

SCALZO IN UNA ESTATE ETERNA

un uomo di fronte all’universo è di fronte al suo cuore
supino di tempo a braccia infinite

i pensieri passano dalla cruna d’iride su filidarianna d’amore
mentre ti mordo la nuca suggendoti il sesso

siamo nel punto di fuga tra l’increato e l’eterno
c’è da restarne immoti per sempre stupiti

se non avessi la tua coda nella mia chioma che mi pettina comete
dovrei unirmi agli dèi per inventare polveri prima del mondo

ma voglio ancorare dodici lune nel fiato per guardarti saltarle
e spingere nel dorso gli dèi per precipitarli lasciandoti regina

non so per quanto rimarrò ancora scalzo d’eterno
ma sarà sufficiente per disegnarti i talloni nei fiori

André Che Isse

ANGELI SCALZI

Un angelo dietro una notte come tante,soffiava nell’anima di un uomo come Miles avrebbe fatto alle quattro del mattino nella sua tromba.
L’atto stesso di comunicare con l’aria,con l’invisibile,è parlare nel sogno: edificare coi sensi una storia di fumo; sedere con gli dèi senza volto,sentirli respirare lentamente,canticchiare pure,prima che il giorno colori le cose,prima che tutto ritorni ad avere un nome proprio.
C’è chi racconta di angeli riconoscibili da un suono particolare tra le due e le cinque della notte,gli stessi che nel giorno si rendono visibili ad alcuni con nomi comuni; adempiendo a due funzioni differenti:
nel profondo della notte donano l’estasi che gli dèi spalmano per creare le stelle;
durante il giorno della luce invitano soltanto,ai pochi che appaiono,a sedere al sole,come del resto fanno gli dèi…
Ma quella notte come tante,l’anima di quell’uomo si era riempita per sempre di stelle.

André Che Isse

ABBACINATO D’EBBREZZA

ho raccolto inizi del mondo su alberi di sabbia
mentre la mia casa è labirinto di mele curvate dalle tue gote

gli amanti si lucidano il dorso per specchiarsi le ali nel cielo
mentre mi coprivi lo sguardo del mondo con l’eterno di un bacio

sono arciere di luce sul faro d’alessandria
eppure le labbra si svegliano ancora col tuo profumo di cedro

gli amanti non vogliono essere immortali perché non sono del mondo
essi vivono tra mele non raccolte d’alberi vicino le lune

è nato forse l’universo prima di un bacio?
o da un singulto d’amore tra due bocche sospese nel nulla?

se stivo il mio tascapane di solo pensieri siderei mi ubriaco d’amore
del resto ti ho raccolta sulle stelle nuda di sole

André Che Isse
16.6.16

SE CAPISSIMO L’INCANTAMENTO DI UN FIATO

non combatto il nulla
c’è così tanta felicità arcata dalla luce da ubriacarsi dall’inizio del mondo

non posso spiegarti l’amore
ma posso inginocchiarmi nel tuo sguardo come allunaggio inverato

cosa sarà mai un solo secolo nell’infinito
di sicuro l’eternità della tua schiena che nevica d’amore e fragole

se riesco allungare le braccia dietro l’universo
un passo a due con dioniso e un assolo di mele curvate dalle tue gote

ogni istante è il cuore del tempo
il punto di fuga dove respira dio

sarò lo scriba del tuo fiato d’aulete arcadore nel tuo sesso di luna
mentre fai nascere i fiori agitando quelle braccia da monella del muto

André Che Isse

TRA DUE LUNE UN SOLO SEGMENTO DI UNIVERSO

quando cammino tra i pensieri faccio un tratto di universo
ubriaco di tigli odorosi tra lune diurne

attraverso la nascita d’idee icarie come nauta sidereo
coi ginocchi nei gomiti aggueffato di sole

e con la bocca affogata nel tuo manto dorsale ti divoro d’amore
aspettando che piova il tuo sesso di commozione scalza

potrei guardarti fino alla fine del mondo
e poi dietro l’universo lucidarti le ali

come si può smemorare l’eclittica dei sogni?
una volta nati da un fiore le mani per sempre petali nelle tue gote

ed ora aspetto che m’imbavagli di baci annullando ogni distanza
lo spazio zero dell’universo dove rimane solo il nostro talamo ulisside

André Che Isse

Sir Edran his Galiard

L’affissava come chiunque avrebbe fatto di fronte ad un incantesimo.
I piedi scalzi allunati,Edran di fronte a Nausicaa,gli piaceva immensamente la doppia ‘a’ in fondo al suo nome ulisside,se ne stava ritto e ammutato come un giovane albero che ancora deve capire che non si muoverà,per sempre,da dove è nato se non con le braccia dei rami,mani invisibili che crescevano nella direzione di Nausicaa,che seduta sull’erba dell’estate,le mani a lisciarsi la lunga chioma di seta,rinasceva dagli occhi di Edran ninfa del suo desiderio eterno.
Avrebbero potuto assolarsi mille estati senza che Edran le avesse tolto l’amore del suo sguardo di un sol battito di ciglia: un Colombo che sbarcasse sulla terra così bramata ed ora immobile nell’incredulità dell’inveramento: i ginocchi nella terra del suo nome.
Seduto sul suo albero fatto di pensieri,Edran la mirava,assieme all’amore,come un astronomo che avesse appena scoperto una stella nuova,mai vista da occhio umano,la sua stella ora,perché nessuno mai si era preso cura di quel puntino lontano lontano nell’universo buio.
Da subito ne aveva riempito un taccuino pregiato,quello che da anni si tiene in serbo per l’occasione speciale,lo aveva con cura aperto alla prima pagina dandone la stura come al vino più prezioso del mondo,e con l’inchiostro più nero dell’universo aveva scritto il suo nome: Nausicaa.
Aveva scelto la sua scrittura più bella,lenta e tersicorea,musicata tra le ‘a’,e svettante da subito in quella N che saliva al cielo tracciando una linea curva sul primo foglio odoroso come il primo volo d’airone sul mondo; quando lo acquistò durante un viaggio in oriente,oltre i confini calpestabili,sentendone a prima vista l’unicità del suo compito futuro,lo aveva cosparso di cedro tra le pagine,l’essenza amorosa per Edran.
E dopo il suo nome,NAUSICAA,la sua scrittura d’attenzione entomologica si era stretta in società con l’amore:
al desiderio riddante come mille Gagliarde d’Edran,si univa lo studio dettagliato delle sue singolarità,quelle che fanno di una persona il suo DNA visibile:
come Nausicaa camminava scalza sull’erba e come invece avrebbe camminato mai sicura tra le case del mondo; come le mani sospese in una leggiadria iconico-rinascimentale magnifica divenivano a tratti scattose e iperboliche; come al suo sorriso leonardesco di madonna si alternavano smorfie deliziose da monella irrequieta da cinematografia del muto; come d’improvviso cangiava da bimba d’altalena all’uggia tenebrosa; e come riuscisse a passare da un’estrema invisibilità alla principessa del ballo,quella che entrando ammuta il cosmo tutto in un silenzio epifanico di maraviglia.

André Che Isse