GLI ORTI IN CUORE

iridi da caderci dentro come lillà perenni
dove finisca il mondo e principi il cuore

entrai nella mia psiche col filodarianna del dna
per girotondare mille volte l’universo ebro stellato

ma c’è una bulimia che ignuda il cuore nell’oro
e non so spiegarne altrimenti quanto incantamento molecolarmente sciente

un sapere di fuoco scettrato che alchimi il sesso della luna col guardo soltanto
in golerie di beatrice adamantina sfaldate al sole come ghiacciai

dove affogar le gote in dorso sia chiomoso disio iscritto in unica treccia
tanto che bocca scalza divori il suo vermiglio urlo baconiano

e allora eccomi dipintore aedo danzante commosso da teche di fiato nei mari
che dallo spazio incendiano il cuore di nauti alati in millanta diatomee blu in Terra

André Che Isse

BOUQUET NUDO

mi sveglio dal sonno e subito sfrego i ginocchi insieme per rubarne il fuoco
così che prima del mondo io rinasca ogni giorno primo giorno del mondo

dalla mia bocca fa colazione una stella prima che m’alzi in piedi nel sole
e riconoscendone fiato sciente m’imparadiso in scampoli d’eternità

ma quando ci s’innamora follemente di vita?
forse quando tra l’anima e il giorno non ci passi neppure un neutrino

e allora scalzo voglio allunarmi ad ogni battito d’iride!
e non perdermi neppure la polvere di un atomo ebro!

si va in scena proprio sulla filigrana delle ore imbandite
ed io come danzatore ulisside lunisolare scalzo m’indio

ho sognato una segreta di fiori così aulente da svegliarmi madido odoroso
non ricordando che mi ero profumato per sognare

André Che Isse

UNA GUGLIATA D’HAIKU BAROCCO

ad ogni passo di pensiero seggo come contrappunto barocco nella stanza dei profumi
ed è sempre ora di precipitare nel cuore come farebbero l’ali senza dorso
in punta di piedi sull’eterno

proprio quando mi accorgo interamente d’avere la stessa curva della luna
mi sale in petto una densità infinita di sole
come se nascessi nuovamente da una stella in oro di klimt

c’è un ponte emozionale su cui mi ritrovo spesso come arco di ulisse
sono la curva del ramo e lo strale a mille punte di fuoco
dardeggiate dietro l’universo come una gugliata di fiori

ho capito come fa l’amore la luce tanto quanto danzo la forma delle idee
così che risa fiorali saranno bouquet nudo lungo le nervature di notte ebra
dove filidarianna amorosi s’annodino ai polsi epicurei per 12 lune purpuree

André Che Isse

Perché scrivo?

Perché scrivo?
ma forse meglio:
perché non posso non scrivere?

Sicuramente come il ‘fiore’ di Baudelaire
che vapora a guisa d’incensiere

(“Ogni fiore si svapora come un incensiere”),

così il mio pensiero sprigiona la sua scrittura
come
-I Prigioni- di Michelagnolo aggallino dalla pietra.

Quasi che lo scriba di se stessi
sia
un disseppellitore dell’anima.

L’istanza improcrastinabile addiviene per me volo icario,
che per chi danzi il fuoco di sé,
sarà cadere nel cuore del sole in piedi,
coll’ali sapientemente dispiegate sull’universo.
Non più esiziale brama,
ma l’audacia ulisside di cimentarsi teatro barocco di sé.

Allora scrivere per me è inveramento di pensiero:

è vivere!

E le parole hanno la chiarità dell’oro,
quando siano pensate per ‘gesti’ tersicorei,
tolte dal loro ‘narrabile’,
e lasciate sbocciare nei sensi;
dove i ginocchi s’arrampichino sui meli
per raccogliere lune,
vere come il giorno,
presenti come i bar dei caffè ma più vere;
dove le parole sono solo amore!

Scrivere dunque per me
è il momento che mi piace nominare dell’eterno:
un solo punto perfetto,
forse prima che tutto esplodesse,
prima del Big Bang:

la scrittura!

e poi nuovamente quando tutto ci fosse tornato;
la scrittura-punto di fuga rinascimentale del mondo
(da cui tutto parte e a cui tutto arrivi).

“Tre sono i sacri obiettivi:
ama la penna,
ama lo scritto,
ama l libri”
SAYAT NOVA

“nel mio zaino il taccuino per poesia e i gomiti per la ridda ebra
mentre coi sassi piatti edifico vele per il mio guardo ateo indiato”

André Che Isse

LA METAFISICA FA IL GIRO DUE VOLTE SULLE GOTE

scivola dolce al guardo lunato l’aere muta che s’apre varco alle gote
così ammusata di sole da viversi tracannando strali di fuoco in fiato

l’amore fa il giro scalzo due volte sulle gote prima di cadervi in bocca
e quando ne alberghi vermiglio nasca prima stella sul sesso dell’iride

oh! se avessi le dita nel dorso dell’universo per timoneggiarne comete!
ma in fondo là dove cade il mare danzo la coda dell’ala tra le mie scapole chiomose

e allora quale positura magnifica serbi l’uomo che ne eiaculi le brame!
tanto che la luce dal sole al cuore sia più veloce dell’idea in cui nacque

io non so che toglierne il narrabile per rimanere di ginocchi allunati soltanto
come un eterno teatro barocco in cui si contrappunti l’entanglement alle gote

il primo giro dissenna la neve su talloni di dioniso che tracci il mondo ebro
mentre più caro al secondo sta il sesso dell’anima che segga troneggiandone sciente

André Che Isse

ROSETI BAROCCHI DI SPUMA IN FOLIO

ho camminato la neve per ascoltare silenzi frangersi come cerchi d’acqua di sassi
cricchiando molecole con angoli di talloni scalzi icosaedri

e il nodo della spuma mi legava al fiato
tanto che la curva dell’aria m’ignudasse a primo vagito

non so prima del mondo ma su albume di cristallo nasco luna diurna
politamente a millanta pieghe barocche

così che trovarsi se stessi sia eden istesso
e nulla più che unica dima dal gomito al cuore

ecco allora che chiedendomi cagione di tale complessità calligrafica
non potei che risponderne in labirinti di sinapsi al guardo in pianta

là dove veneri di willendorf lasciviscano su curva di ghigno baconiano
là dove danzo la prima neve del mondo su quanti candenti di dioniso

André Che Isse

FILIDARIANNA FRATTALI

devo stare dove s’incontrano il guardo di luna e la curva dell’ali
proprio dove nacque l’universo sulle dita inzafardate di miele

così che in arcioni le risa di sole io stamburi su roseti barocchi
tanto che il fiato prenda misura d’eclittica torno le gote amarasche

chi sono io se non scampolo maraviglioso d’eterno?!
e infilarsi scalzo l’ipotenusa d’infinito è dissetare il mare con un calice d’argento

ma non riesco a smemorarmi auriga di doppia elica nucleica da quando la disseppellii
fu come trovarsi gli dèi a tavola con le dita conserte in marmellate ignude

e allora gratugiai le nubi per divorarne il cielo com’entropia d’agnoli tubicini in giudizio
che clangendo lapislazzuli tra le gote, d’ogni atomo fan di naute bolle cinesi lanterne

eccomi chiomoso adunque su ori di guardo pettinato da prima neve del mondo
ne seguo l’impronta di gomito come strale d’arco ulisside che perfori l’universo

André Che Isse