LE GRU LACCATE A NEVE

cogito mentre penso,

il pensiero che pensa al pensiero è l’idea che inventa l’Uomo

*

nei dorsi di rubens la bellezza ignuda,

per il poeta la distanza tra le parole è misura tra ora ed eterno

*

quanti disii sbramati per la felicità?

1000 o solo monadi per l’Essere?

*

non so di un tempo dietro il tempo ma conosco il tempo mentre nasce:

il guardo di prua mentre accade proprio dove tra attimo e tempo aulisca l’alma

*

allora m’attergo d’estasi supino al meriggio allocchito d’azzurro bastevole

ché non conta il fare ma i fruscii dell’ala inventati

*

quando il silenzio è tutte le pause tra le note

sfrigola l’eleganza curvando i ginocchi di gru nella neve

*

André Che Isse

LA GOLA DI NEVE

Rammemoro la neve in cui silenziò Edran.

ll suo passo narrava l’esserci.

E assieme al cuore

stamburavano i talloni rotondi nell’albume.

L’impronta stampigliata lasciava nel suo guardo falotico

l’invenzione del cartiglio egizio;

firmando così l’incedere tersicoreo di Edran.

Curvare la neve danzando materiava la leggiadria;

come fa l’amore baciandosi in bocca.

E in bocca allo zenit si lasciava stivare la gola di neve;

allora forse sarebbe potuta tralucere l’anima

per luccicanza innevata.

André Che Isse

L’ALA NEI CERCHI DI REMBRANDT

danzo per transustanziarmi l’anima
così che si possa ostendere la materia oscura
geometrizzandone la curva dell’universo

ho rallentato nel rincasare in modo che la neve potesse illeggiadrirmi tutta la vita
non solo dal giorno dopo ma già da quella trascorsa
così che tra l’arco del palato e la curvatura dei pensieri inaurati
in cui ricevevo la nevicata come ospite amorosa all’alcova
un unico gesto piegasse l’eterno a rientranza
proprio dove acciambellarsi per sempre

è necessario escire da ogni struttura per accedere al proprio dna
il dorso senz’ali vola meglio!
allora dietro un multiverso metterò la camicia allindata più bella

André Che Isse

DANZARE D’ESSERCI DAVVERO

il braccio arcato come gota vermiglia
la sua curva è mosto poietico di spuma ebra

danzare l’esserci è tracciare geoglifi di tessuto temporale
mentre dietro l’universo il pensiero silenzia i ginocchi in oro

e dalla luna posso vedere la neve -in pianta- danzare immota
sembra che pensi di esserci sempre stata!

io sono la curva di leggiadria in cui nacque la prima nevicata del mondo
un danzatore-poeta che materia i gomiti agli arcangeli ebri

allora davanti all’ala ho inverato il dorso di dioniso sciente
e subito ne ho ubriacata la vita davvero!

quando principio una danza è dove nasco scalzo
come neve increata che snuda l’eterno

André Che Isse

ROSETI BAROCCHI DI SPUMA IN FOLIO

ho camminato la neve per ascoltare silenzi frangersi come cerchi d’acqua di sassi
cricchiando molecole con angoli di talloni scalzi icosaedri

e il nodo della spuma mi legava al fiato
tanto che la curva dell’aria m’ignudasse a primo vagito

non so prima del mondo ma su albume di cristallo nasco luna diurna
politamente a millanta pieghe barocche

così che trovarsi se stessi sia eden istesso
e nulla più che unica dima dal gomito al cuore

ecco allora che chiedendomi cagione di tale complessità calligrafica
non potei che risponderne in labirinti di sinapsi al guardo in pianta

là dove veneri di willendorf lasciviscano su curva di ghigno baconiano
là dove danzo la prima neve del mondo su quanti candenti di dioniso

André Che Isse

RIDDO EBBRO

vedo cadere la neve d’estate
mi nevica addosso
l’odore candente dei suoi occhi

a bocca schiusa spumo vapore di cuore ardente
potrebbe essere il mattino di una sola notte eterna
e invece è l’alba di ogni attimo innamorato di esserlo

riddo ebbro di vendemmia icaria
quella che raccoglie l’estasi ubriaca di sé
l’Uno commosso di densità molecolare

prima fu coda per comete poi di cavallo tersicoreo
ed io la pettino come si pettina un dio
ma come si pettina un dio se non in girotondi di filidarianna di sole?!

André Che Isse