εὐδαίμων
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tolgo il narrabile in mezzo al momento
apicale equilibrio degli eoni
l’eudemonia è silenziosa
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André Che Isse
il silenzio dell’Essere è curva a radiazione cosmica di fondo
lo spazio odoroso di una nevicata
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l’Essere immerso nell’Esserci aggalla per elisio
quando curvo il braccio per principiare una danza traccio l’arco d’un fiato
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allora la forma dell’Essere si materia in leggiadria ebra
e i pensieri dei gigli salgono alberi blu d’incenso
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così flanello nel roseto del disio scalzo fervoroso di dioniso alquanto
che l’ali io possa tra l’aere e la luna immote auscultarne la curva
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solo l’Essere in arcioni rampolla al verbo crisostomo
enarrami i ginocchi allunati d’aedo danzante per aseità imperiosa!
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l’eleganza del sole al meriggio tra le persiane sta all’Essere sull’Esserci
come luccicanza aurorale sta l’elisio per suità eternale
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André Che Isse
sono sciamano dendrita d’argento per molecole icarie
per coltivare un pensiero sul melo senz’ali
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così fantasio agrimensori di nubi da spalla chimerosi
così poeto l’Essere!
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sono atomo seduto nell’Esserci
onfalo custode dell’attimo eternale
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eudemonista ebro danzante aedo
una parola cribrata è orto del mondo!
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ma è difficile raccontare l’infinito: ha la stessa sostanza elisia del gaudio
un corridoio acronico d’ipseità inaurante
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ogni gesto move l’eterno d’un attimo!
ecco perché ne danzo la curva scalza
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André Che Isse
m’invero di mille comete immote dietro l’universo
(la felicità è silenziosa)
così danzo dove il sole lumeggia la polvere nell’aria
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immoto d’ebbrezza increata
con le dita nel cuore più che nel miele, vermiglie più che ambrate
così flanello sulle mie strade novelle!
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e coi bracci il cerchio di Prospero per assetare il noumeno nell’orto
quando sempre principio il giorno stupefatto d’Esserci in mezzo all’eterno
tra <<ora!>> e la luna
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del resto pingo i ginocchi per vedermi l’angolo dell’anima
poeto per auscultarla nell’oro
e danzo per farne un giardino
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André Che Isse
io sono mille anni nell’attimo di un fiore
mentre soppeso i bracci d’idee in danze psicostasiche ebre
ove gravità in leggiadria curvi l’aere come michelagnolo la pietra
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perambulo sull’acque di monet come pollock sognasse
mentre distillo il pensiero dalle mele vermiglie di cezanne
e quel limone di manet con cui mi pettino le brame
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quando danzo ogni gesto è più vero di ogni realtà quotidiana!
il movimento è così snudato da tornare sostanza aurorale di stella
e così ogni lemma cribrato: fiore numinoso di luccicanza
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allora non potrò fino in fondo di universo che poetarmi l’esserci
perché non so dire altro di bellezza fuori il mio guardo
la bellezza che inventò l’arte e le tue gote
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André Che Isse
sussurro parole barocche di silenzio
nella pioggia tra le gocce alberga il sole
l’elisio non è mai stato così vicino
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qui si tratta sempre di sceverare il cielo dal vaniloquio!
salire le scale come gru del giappone
e poetarsi illeggiadriti ebri dietro la luna vermiglia
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piccole cose profonde per sempre
un haiku dal sapore di arance
e raccolgo gl’incanti come fiori
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quando soggiorni nell’anima la bellezza è già materia dell’aria
e l’ala si curva dove il cogito goffri l’attimo
allora posso disceverare la leggiadria molecolare col guardo eudemonico
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André Che Isse
le parole stanno come fari alessandrini in arco ulisside
orifiamma di pensiero inaurato garrente
con filidarianna scienti fantasio aulentissimo
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disoccultai l’anima per nascere il primo giorno del mondo
ho così tralignato da tutto ciò che non le appartenesse
curvando l’elisio per arco di bracci
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ho danzato gli alberi come avrebbero potuto i bracci
e mi stupefeci d’ali
tanto della stessa materia di nubi il cogito
*
Quando danzo principio lo spazio.
Quando poeto invento lo spazio.
Quando perambulo memoro lo spazio inventato.
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André Che Isse
ho inventato la ruota con la curva dei bracci
all’orlo delle cose frinisce il bizantismo dell’anima
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col guardo traccio bellezza a carbone d’aedo
e poi lucido le parole con le ali
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ti ho regalato il dorso più bello del mondo!
la bocca affogata tra le scapole d’argento
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se piego carta di riso in mille angoli di luna
apparecchio il barocco per curvare fiori scalzi d’inchiostro
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e la luccicanza nell’angolo dei baci è nascita di stella
filodarianna di saliva rugiadosa vermiglio
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sorgo moai ebro a chiorba di nubi
vagheggiando il sole dove snuda il cogito
.
André Che Isse
m’inebrio a fresco d’idee
come luce primigenia che tessa le dita di giallo
sospeso zenitale sbandisco domande
solo affabulando risposte materiate a seità rimango
e sempre perambulo per logos leggiadro
che alchimio sciente ad arco ulisside ebro
così piegai il clinamen epicureo coi bracci
tanto da girotondare in sempiterno alla luna scalzo
fui danzatore da quando flagrò il primo sole
e alacre aedo daccapo dopo l’universo
ciò che è cosale null’altro sia che da riempire
perché l’eterno è vuoto senza la sostanza che lo curvi
André Che Isse