André Che Isse
EBRO ERBARIO
PER GIRASOLI ICOSAEDRI
IN CURVA DIONISIACA
DIETRO L’UNIVERSO
che cos’è il mio verso poetico se non un arto del pensiero
il riso stesso dell’anima e la velocità della luce immota nell’iride
la piega barocca in cui s’accuccia l’eterno
la mia curva di leggiadria
c’è una stella che per girarle intorno ci vorrebbero 1000 anni in aereo
e il pensiero quanto è lungo?
lo si può distendere fino a dove nacque l’universo?
2000 volte il diametro del sole per un filodarianna di sola andata ne sarà bastevole?
avevo vent’anni e qualcuno mi chiese cosa sapessi di più
ricordo solo che presi una pausa per fare due conti:
«di me stesso!»
ed ero appena salito su quell’aereo dei 1000 anni
principiai poetando di non conoscere angeli
«ma qualcuno mi soffia nelle scarpe!»
così che danzando scalzo potessi vederne il fiato:
l’aura brumosa dell’ala
e capii presto dove trovare la curva eudemonica
là dove si nasce increati a se stessi
mentre stropiccio le mani come mi nascesse una stella dai palmi
o forse è solo il ricordo prima del mondo
ma ogni giorno volito ebro in pozzi d’alice per raccogliere i miei quanti sul fondo
come monadi di pensiero sui ciliegi
come tuffatore icario in fragole scienti
che all’ala ho snudato il mio dorso d’arciere
André Che Isse
se allungo il respiro il fiato mi batte la curva della nuca
esondandomi a leggiadria i pensieri inaurati
c’è la-misura-sciente-dell’anima che curva l’eterno
come s’arca il guardo affatturato dai fiori vermigli
da piccolo avrei desiderato diventare il più folle eccentrico
poi arrivò il mio turno di essere-e-basta
ecco allora ostendersi una vita che non ha bisogno di narrarsi
è il cucito stesso dei fiori la curva eudemonica
il mondo ha già inventato tutto ma non quello che può essere il tuo dna!
se soffio sull’entropia posso giungere all’inizio del mondo
ma cos’è che conta veramente per sé se non la velocità della luce immota nell’iride
e poi m’innamoro di poiesi ogni volta che si danzi i ginocchi scalzi scienti sui meli
André Che Isse
se ad ogni istante l’attenzione stuporosa fosse all’erta
tanto quanto in un foglio di carta gualcito se ne possa ammirare il labirinto degli angoli
si potrebbe afferrare una piega di tempo come una lecconeria elisia
e la somma delle crespe ne darebbe uguale a infinito
l’eterno per il bavero dunque tra i diti, 1001: aldebaran,1002: antares
1003 in angolo d’increspatura sciente scolpita da un michelagnolo ebro
ed io ho annodato il cielo al guardo così che la mira fosse di stella!
e la distanza dei desideri lieve come nubi barocche
non si è immortali inscrivendo res gestae in istoria
ma quando la propria poetica sia la più sublime a se stessi
e non sarà la lunghezza del giorno a fare l’eterno
ma la coltura delle pieghe in fiato
André Che Isse