LE GRU LACCATE A NEVE

cogito mentre penso,

il pensiero che pensa al pensiero è l’idea che inventa l’Uomo

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nei dorsi di rubens la bellezza ignuda,

per il poeta la distanza tra le parole è misura tra ora ed eterno

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quanti disii sbramati per la felicità?

1000 o solo monadi per l’Essere?

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non so di un tempo dietro il tempo ma conosco il tempo mentre nasce:

il guardo di prua mentre accade proprio dove tra attimo e tempo aulisca l’alma

*

allora m’attergo d’estasi supino al meriggio allocchito d’azzurro bastevole

ché non conta il fare ma i fruscii dell’ala inventati

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quando il silenzio è tutte le pause tra le note

sfrigola l’eleganza curvando i ginocchi di gru nella neve

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André Che Isse

L’ULTIMO GOMITO DELL’ESSERE

ali grandi come la prima idea della ruota

dalle stelle l’odore della notte sa d’erba tagliata al meriggio

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sovra luccicanza di lemmi il cielo è più blu perché lo si può nomare

l’onomaturgia del guardo transverbera la chiaria del logos

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così giunsi ove tutto s’eterna e la curva d’alma ispessita di sole

l’Essere flanella l’Esserci come l’ebbrezza l’eterno

*

conosco l’attimo sciente e il muro giallo del sublime meriggio

guardami fin dove la danza disveli l’ultimo gomito dell’Essere!

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scivola intanto il clinamen epicureo sull’ipotenusa aurale

non è stupefacente auscultare la pioggia dal decubito dell’Esserci?!

*

tambura il cielo spuma d’argento di mari

ove silenzio intavoli radiazione cosmica di fondo col barocco madido di gocce

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André Che Isse

LA CURVA D’IPSEITA’ DANZANTE

sono sciamano dendrita d’argento per molecole icarie

per coltivare un pensiero sul melo senz’ali

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così fantasio agrimensori di nubi da spalla chimerosi

così poeto l’Essere!

*

sono atomo seduto nell’Esserci

onfalo custode dell’attimo eternale

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eudemonista ebro danzante aedo

una parola cribrata è orto del mondo!

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ma è difficile raccontare l’infinito: ha la stessa sostanza elisia del gaudio

un corridoio acronico d’ipseità inaurante

*

ogni gesto move l’eterno d’un attimo!

ecco perché ne danzo la curva scalza

*

André Che Isse

ὀμϕαλός

appoggio il gomito tra l’aere e il cogito

con la sola giustezza tra due punti che curvi l’eterno

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quando inspiro-sciente un portale di gigli m’esonda in fiato

come veliero d’inflorescenza per suità tra multiverso e ora

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ho curvato ogn’istante al torno dell’alma per tombolarvi come tuffatore nell’oro

uno spaziotempo chimeroso per Esserci davvero!

*

ed ora coi bracci cerchio l’Essere danzando:

si narra che forando un foglio piegato in due si attraversi galassie

*

è come scivolassimo nell’Essere come pelle stellata di notte d’estate

col fiato caldo nell’onfalo dei palmi a guscio d’Esserci

*

quel punto di fuga rinascimentale a cui tutto giunge dopo il volo

è proprio quando non hai più bisogno d’ali che il dorso ha la stessa sostanza d’elisio

*

André Che Isse

ATEMPORALITÀ DI UN GUARDO INCREATO

la curva di un gesto calligrafico a edo

un tema melancolico di schubert iterato

e subitamente esonda l’attimo sciente

*

così materio l’elisio tanto che l’alma mia di luccicanza al guardo

così come rembrandt dei cerchi attergati, l’Essere all’Esserci il cerchio chiude

allora che la curva eudemonica come stupefacente epifania si ostenda

*

se perambulo il dionisiaco dell’alma il volo senz’ali sarà apollineo

nacqui per nascere a me stesso, dopo le ali l’ipseità ebra

l’elisio non esce dall’atomo!

*

ma bisogna spostare le molecole mai camminate per trovarsi di aseità increata!

mentre disseppellisco parole bizantine per raccogliere bellezza dagli alberi capovolti

ecco come vagheggio bilanciando la mia positura eternale con l’attimo sorgente

*

André Che Isse

CAPOGIRO SCIENTE D’IMMENSO

posso curvare il fiato leggiadro delle lune in filidarianna

e come funambulo inverso prima il tallone poi mille dita scalze

con quella grazia che inventò per prime madonne rinascimentali in broccato

*

sempre da qualche parte piove come mille pavane elisabettiane per viole

sempre da qualche parte un drago d’albume garrisce muto su nubi barocche

lo capiremmo coi ginocchi nelle fragole e il guardo d’argento

*

capogiro sciente d’immenso!

ne perambulo un atomo soltanto e già sono bizantino gaudioso

del resto in fondo all’infinito nasce l’idea eternale, ne porto sempre una in tasca

*

così allungai i bracci nel sole non per averlo ma per sapere come van gogh lo divorasse nel giallo

solo all’omo coll’ali sarà rivelato l’elisio in un atomo

datemi mille vite e ancora non bastevoli a esondarne il foco tutto che in un attimo io sia già eternale

*

André Che Isse

LA CRUNA D’ELISIO O DEL BOSONE DI DIONISO

C’è qualcosa nell’aria,

al di là dell’ortodossia stagionale,

a tratti irraggiungibile,

ma qualcosa aggalla dal sole:

più che un vaniloquio vaporoso

mi assembra una gravità che attragga i pensieri,

ma solo quelli aurorali,

gli stessi che probabilmente principiarono il mondo;

un materiarsi diafano

da cui la parte più leggiadra del pensiero

venga a consertare la sua chioma.

Una treccia dorata di fervore!

La sostanza dell’ebbrezza che transverbera l’idea eternale.

Sì,

c’è qualcosa nell’aria agostana che aggueffa materia gaudiosa

torno torno quella mia vivida sensazione increata di dolcezza.

.

André Che Isse

LA MATERIA DELL’ARIA

sussurro parole barocche di silenzio

nella pioggia tra le gocce alberga il sole

l’elisio non è mai stato così vicino

*

qui si tratta sempre di sceverare il cielo dal vaniloquio!

salire le scale come gru del giappone

e poetarsi illeggiadriti ebri dietro la luna vermiglia

*

piccole cose profonde per sempre

un haiku dal sapore di arance

e raccolgo gl’incanti come fiori

*

quando soggiorni nell’anima la bellezza è già materia dell’aria

e l’ala si curva dove il cogito goffri l’attimo

allora posso disceverare la leggiadria molecolare col guardo eudemonico

*

André Che Isse

IL CROGIOLO LUTATO A SEITA’ EBRA

l’eudemonia si raccoglie tra gli spazi vuoti dell’atomo
in ammutata atopia interstellare blu-notte-arcata-ebra
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qui non si tratta di essere rivoluzionari! ma cometa sciente a numero primo
così monade per l’universo! da perambularne il dorso
*
l’euforia è labile! ma non l’eudemonia a coltura barocca per messi elisie
eccomi anche per un solo eterno ma così stupefacente da esserci di nuovo
*
e di nuovo monello novello scalzo sull’albero al primo giorno del mondo
e pantocratore gaudente tiramele vermiglie a campitura ignuda
*
ora, annodo il pensiero delle nubi all’ipotenusa d’ipseità
tanto che ziqqurat scalzi d’argento allunino commozioni adamantine piene
*
piegando il tempo inventai la ruota per frinire coll’ali l’elisio
la Grandezza, l’Eudemonia, e il Barocco albergano in piega alchemica
*
André Che Isse