bagliori a misura dell’alma
conflagro sciente l’ebbrezza vivida dell’essere
crapuloso dadoforo di suità
*
Edran aveva così snudato l’attimo da camminarci scalzo.
Ogni istante possedeva la volontà di potenza di un haiku,
o meglio:
la leggiadria sciente dell’Esserci.
Come Michelagnolo toglieva il marmo per disoccultarne l’imago increata,
Edran dall’eterno aggallava:
ogni Attimo sull’Esserci dell’Essere Suo!
L’incesso aveva preso la doratura del cogito;
ogni suo passo stampigliava l’ala del pensiero.
L’idea stessa aveva principiato la danza di Edran:
dalla curva del braccio nasceva.
Così dietro l’universo in mezzo a ipseità eternava.
Uno stato eudemonico gli coltivava uno stato di grazia superno;
Edran equilibrava la cognoscenza all’erbario delle idee:
per ogni ebbrezza il nome di una stella.
Lo stupefacente lumeggiava per lui l’attimo d’immenso.
E l’afflato di Edran transverberava la sostanza dell’Essere,
buccinando l’ostensorio dell’alma.
Poteva così auscultare l’inazzurrarsi del fiato,
che dalle nari raccoglieva il cielo.
André Che Isse
poetare è incidere la leggiadria dell’attimo increato
quando tutto cangia il già stato rimane per sempre
*
allora il corpo sta all’estate come l’ala inazzurra
e i bracci come lenzuola stese al sole: bilancieri d’estasi
*
indaco prima e dopo i pensieri
tra l’invenzione della ruota e il suo stupore: il respiro-sciente dell’Esserci!
*
sono transverberazione dell’attimo come neutrino nauta immoto
così da squarciare l’Esserci in positura eternale ebra
*
e se equilibro il quadrivio degli arti in Essere soltanto
l’alma sarà punto di fuga rinascimentale scalzo
*
e ogni levità sarà il silenzio tra le crome, lo spazio asciutto nella pioggia
quello spazio dietro l’universo che ha la stessa sostanza del guardo gaudioso
*
André Che Isse
ali grandi come la prima idea della ruota
dalle stelle l’odore della notte sa d’erba tagliata al meriggio
*
sovra luccicanza di lemmi il cielo è più blu perché lo si può nomare
l’onomaturgia del guardo transverbera la chiaria del logos
*
così giunsi ove tutto s’eterna e la curva d’alma ispessita di sole
l’Essere flanella l’Esserci come l’ebbrezza l’eterno
*
conosco l’attimo sciente e il muro giallo del sublime meriggio
guardami fin dove la danza disveli l’ultimo gomito dell’Essere!
*
scivola intanto il clinamen epicureo sull’ipotenusa aurale
non è stupefacente auscultare la pioggia dal decubito dell’Esserci?!
*
tambura il cielo spuma d’argento di mari
ove silenzio intavoli radiazione cosmica di fondo col barocco madido di gocce
*
André Che Isse
sfilo i pensieri dall’orto ordito
pensieri che guardano se stessi nascere
idee ingemmate per suità eternale
*
ti ho vista dormire in una rosa dietro l’universo
la curva del sonno aveva la stessa sostanza del mio braccio d’arciere
il silenzio dei sogni di notte rimane odoroso
*
allineo i pensieri come pianeti numinosi
così che tutti gli accadimenti siano in sublimità
ogni attimo avrà la giustezza di curvatura eudemonica
*
stivarsi di stelle!
tracciarne luccicanza silente
e illeggiadrirsi d’ebbrezza elisia
*
André Che Isse
m’invero di mille comete immote dietro l’universo
(la felicità è silenziosa)
così danzo dove il sole lumeggia la polvere nell’aria
*
immoto d’ebbrezza increata
con le dita nel cuore più che nel miele, vermiglie più che ambrate
così flanello sulle mie strade novelle!
*
e coi bracci il cerchio di Prospero per assetare il noumeno nell’orto
quando sempre principio il giorno stupefatto d’Esserci in mezzo all’eterno
tra <<ora!>> e la luna
*
del resto pingo i ginocchi per vedermi l’angolo dell’anima
poeto per auscultarla nell’oro
e danzo per farne un giardino
*
André Che Isse
soppeso sui palmi l’alma con cura aulente
che per contatto d’esserci forgi idee appetite
*
e con le dita allora danzo nappe di nubi ranciate
con cui possa polire il disio tra le tue scapole icarie
*
e pingerle d’argento allunato scalzo prima di vestirle di fiori
allora sì che sarai la volontà di potenza di un fiore!
quando ranciato si curverà di mille albe
tra il sorriso del sole e l’amore
*
discesi l’ipotenusa dell’ebbrezza senz’ali per togliermi il fiato!
così che nel sole il dorso scintillasse più apollineo
*
ebro quel gesto che principiò il mondo dalla luna
tanto quanto la mia curva del braccio emulata dai fiori sugli alberi capovolti
*
André Che Isse
ausculto lo spazio come attimo infinito
il pensiero può curvare i ciliegi di giallo van gogh
sarò sempre dove le fragole cadono dagli alberi
*
allora irraggiarsi per mirare l’aseità nelle nubi
sarà un acero vermiglio tra labbra garrule di fragole
tanto che d’ebbrezza n’esondo materia d’alma
*
per amare devi avere un cesto di stelle fresche
labbra ad angolo di luccicanza
ed esserci sulla luna a raccoglierLe il guardo
*
quando attraverso il sole scalzo nell’oro
l’ipotenusa dei bracci è pari al lato più lungo del fiato
tanto da divorare la sostanza del gaudio come ciambelle
*
André Che Isse
m’inebrio a fresco d’idee
come luce primigenia che tessa le dita di giallo
sospeso zenitale sbandisco domande
solo affabulando risposte materiate a seità rimango
e sempre perambulo per logos leggiadro
che alchimio sciente ad arco ulisside ebro
così piegai il clinamen epicureo coi bracci
tanto da girotondare in sempiterno alla luna scalzo
fui danzatore da quando flagrò il primo sole
e alacre aedo daccapo dopo l’universo
ciò che è cosale null’altro sia che da riempire
perché l’eterno è vuoto senza la sostanza che lo curvi
André Che Isse
mi goccia opima estasi prima del mondo
in mezzo danza dioniso d’irrefragabile ebbrezza
e allora sarò tedoforo adamantino per-seità ardente dietro l’universo!
fino all’ultimo quanto gaudioso snudato
così coltivai l’eterno sull’ipotenusa dell’essere
stivando in tasca molecole eudemoniche increate
mentre lascivisco ancora in pieghe barocche fattizie
tanto da ruscellarne d’argenti allunati scalzo
quanto disbrami la sostanza dei sogni di cui sono fatto
materiato di fiaba che nacque per me prima di antares
le parole di un poeta sono i suoi sogni!
e i miei sogni sono il mio quotidiano inverati
André Che Isse