EBRO IMMOTO

il lusso di pensare con l’anima

il silenzio della pioggia prima della terra

equilibrano l’estasi esistentiva

*

la curvatura tra l’attimo e l’eterno è l’ebbrezza dell’ala

così l’arco della bocca sorregge la via lattea!

e quando salgo i melograni i ginocchi fremono di stelle

*

se la luna pensasse avrebbe il sapore dell’erba tagliata

quando arrovescio l’infinito m’adagio supino in un guscio di noce

così che l’abazia senza tetto come palla di vetro capovolta nevichi

*

dal talamo la pioggia è sarabanda bachiana

il bizantismo del sole tra le persiane è sontuosa pavana elisabettiana

l’Esserci immoto sciente è passacaglia barocca per l’Essere

*

André Che Isse

L’EQUILIBRIO DELL’EBBREZZA

danzo la perpendicolarità del gesto nell’arco!

mentre il palmo distende la carta come l’amore nel dorso

e i ginocchi del calligrafo sui gigli sfrigolano di neve!

*

se tolgo il narrabile dallo scriba rimane la curva danzata

e la piega che inventò il barocco è l’ebbrezza delle idee ardenti

ma il funambolo sulla radiazione cosmica di fondo è pietra d’angolo!

*

così equilibro l’ala immota sull’increspatura dell’atomo vermiglio

non importa la distanza dal sole ma l’immobilità dell’estasi!

in quanto a piena eudemonia si sta nel mezzo di suità

*

incedo sul disio come il sole sul giallo cromo

un orto di luccicanza su cartiglio tebano da tasca

piccola ala di muro gialla in algoritmo proustiano

*

André Che Isse

LA LEGGIADRIA SCIENTE DELL’ESSERCI

Edran aveva così snudato l’attimo da camminarci scalzo.

Ogni istante possedeva la volontà di potenza di un haiku,

o meglio:

la leggiadria sciente dell’Esserci.

Come Michelagnolo toglieva il marmo per disoccultarne l’imago increata,

Edran dall’eterno aggallava:

ogni Attimo sull’Esserci dell’Essere Suo!

L’incesso aveva preso la doratura del cogito;

ogni suo passo stampigliava l’ala del pensiero.

L’idea stessa aveva principiato la danza di Edran:

dalla curva del braccio nasceva.

Così dietro l’universo in mezzo a ipseità eternava.

Uno stato eudemonico gli coltivava uno stato di grazia superno;

Edran equilibrava la cognoscenza all’erbario delle idee:

per ogni ebbrezza il nome di una stella.

Lo stupefacente lumeggiava per lui l’attimo d’immenso.

E l’afflato di Edran transverberava la sostanza dell’Essere,

buccinando l’ostensorio dell’alma.

Poteva così auscultare l’inazzurrarsi del fiato,

che dalle nari raccoglieva il cielo.

André Che Isse

UBRIACO D’EQUILIBRIO

poetare è incidere la leggiadria dell’attimo increato

quando tutto cangia il già stato rimane per sempre

*

allora il corpo sta all’estate come l’ala inazzurra

e i bracci come lenzuola stese al sole: bilancieri d’estasi

*

indaco prima e dopo i pensieri

tra l’invenzione della ruota e il suo stupore: il respiro-sciente dell’Esserci!

*

sono transverberazione dell’attimo come neutrino nauta immoto

così da squarciare l’Esserci in positura eternale ebra

*

e se equilibro il quadrivio degli arti in Essere soltanto

l’alma sarà punto di fuga rinascimentale scalzo

*

e ogni levità sarà il silenzio tra le crome, lo spazio asciutto nella pioggia

quello spazio dietro l’universo che ha la stessa sostanza del guardo gaudioso

*

André Che Isse

L’ULTIMO GOMITO DELL’ESSERE

ali grandi come la prima idea della ruota

dalle stelle l’odore della notte sa d’erba tagliata al meriggio

*

sovra luccicanza di lemmi il cielo è più blu perché lo si può nomare

l’onomaturgia del guardo transverbera la chiaria del logos

*

così giunsi ove tutto s’eterna e la curva d’alma ispessita di sole

l’Essere flanella l’Esserci come l’ebbrezza l’eterno

*

conosco l’attimo sciente e il muro giallo del sublime meriggio

guardami fin dove la danza disveli l’ultimo gomito dell’Essere!

*

scivola intanto il clinamen epicureo sull’ipotenusa aurale

non è stupefacente auscultare la pioggia dal decubito dell’Esserci?!

*

tambura il cielo spuma d’argento di mari

ove silenzio intavoli radiazione cosmica di fondo col barocco madido di gocce

*

André Che Isse

STIVARSI DI STELLE!

sfilo i pensieri dall’orto ordito

pensieri che guardano se stessi nascere

idee ingemmate per suità eternale

*

ti ho vista dormire in una rosa dietro l’universo

la curva del sonno aveva la stessa sostanza del mio braccio d’arciere

il silenzio dei sogni di notte rimane odoroso

*

allineo i pensieri come pianeti numinosi

così che tutti gli accadimenti siano in sublimità

ogni attimo avrà la giustezza di curvatura eudemonica

*

stivarsi di stelle!

tracciarne luccicanza silente

e illeggiadrirsi d’ebbrezza elisia

*

André Che Isse

ILLECEBRA DI CIPRIA GAUDIOSA

m’invero di mille comete immote dietro l’universo

(la felicità è silenziosa)

così danzo dove il sole lumeggia la polvere nell’aria

*

immoto d’ebbrezza increata

con le dita nel cuore più che nel miele, vermiglie più che ambrate

così flanello sulle mie strade novelle!

*

e coi bracci il cerchio di Prospero per assetare il noumeno nell’orto

quando sempre principio il giorno stupefatto d’Esserci in mezzo all’eterno

tra <<ora!>> e la luna

*

del resto pingo i ginocchi per vedermi l’angolo dell’anima

poeto per auscultarla nell’oro

e danzo per farne un giardino

*

André Che Isse

PRINCIPIO LA LUNA NELL’AMBRA CON NAPPE DI NUBI RANCIATE SU ALBERI CAPOVOLTI

soppeso sui palmi l’alma con cura aulente

che per contatto d’esserci forgi idee appetite

*

e con le dita allora danzo nappe di nubi ranciate

con cui possa polire il disio tra le tue scapole icarie

*

e pingerle d’argento allunato scalzo prima di vestirle di fiori

allora sì che sarai la volontà di potenza di un fiore!

quando ranciato si curverà di mille albe

tra il sorriso del sole e l’amore

*

discesi l’ipotenusa dell’ebbrezza senz’ali per togliermi il fiato!

così che nel sole il dorso scintillasse più apollineo

*

ebro quel gesto che principiò il mondo dalla luna

tanto quanto la mia curva del braccio emulata dai fiori sugli alberi capovolti

*

André Che Isse

ESONDO EBRO DI SOLI GIALLO VAN GOGH

ausculto lo spazio come attimo infinito

il pensiero può curvare i ciliegi di giallo van gogh

sarò sempre dove le fragole cadono dagli alberi

*

allora irraggiarsi per mirare l’aseità nelle nubi

sarà un acero vermiglio tra labbra garrule di fragole

tanto che d’ebbrezza n’esondo materia d’alma

*

per amare devi avere un cesto di stelle fresche

labbra ad angolo di luccicanza

ed esserci sulla luna a raccoglierLe il guardo

*

quando attraverso il sole scalzo nell’oro

l’ipotenusa dei bracci è pari al lato più lungo del fiato

tanto da divorare la sostanza del gaudio come ciambelle

*

André Che Isse