CAPOGIRO SCIENTE D’IMMENSO

posso curvare il fiato leggiadro delle lune in filidarianna

e come funambulo inverso prima il tallone poi mille dita scalze

con quella grazia che inventò per prime madonne rinascimentali in broccato

*

sempre da qualche parte piove come mille pavane elisabettiane per viole

sempre da qualche parte un drago d’albume garrisce muto su nubi barocche

lo capiremmo coi ginocchi nelle fragole e il guardo d’argento

*

capogiro sciente d’immenso!

ne perambulo un atomo soltanto e già sono bizantino gaudioso

del resto in fondo all’infinito nasce l’idea eternale, ne porto sempre una in tasca

*

così allungai i bracci nel sole non per averlo ma per sapere come van gogh lo divorasse nel giallo

solo all’omo coll’ali sarà rivelato l’elisio in un atomo

datemi mille vite e ancora non bastevoli a esondarne il foco tutto che in un attimo io sia già eternale

*

André Che Isse

LA CRUNA D’ELISIO O DEL BOSONE DI DIONISO

C’è qualcosa nell’aria,

al di là dell’ortodossia stagionale,

a tratti irraggiungibile,

ma qualcosa aggalla dal sole:

più che un vaniloquio vaporoso

mi assembra una gravità che attragga i pensieri,

ma solo quelli aurorali,

gli stessi che probabilmente principiarono il mondo;

un materiarsi diafano

da cui la parte più leggiadra del pensiero

venga a consertare la sua chioma.

Una treccia dorata di fervore!

La sostanza dell’ebbrezza che transverbera l’idea eternale.

Sì,

c’è qualcosa nell’aria agostana che aggueffa materia gaudiosa

torno torno quella mia vivida sensazione increata di dolcezza.

.

André Che Isse

LA MATERIA DELL’ARIA

sussurro parole barocche di silenzio

nella pioggia tra le gocce alberga il sole

l’elisio non è mai stato così vicino

*

qui si tratta sempre di sceverare il cielo dal vaniloquio!

salire le scale come gru del giappone

e poetarsi illeggiadriti ebri dietro la luna vermiglia

*

piccole cose profonde per sempre

un haiku dal sapore di arance

e raccolgo gl’incanti come fiori

*

quando soggiorni nell’anima la bellezza è già materia dell’aria

e l’ala si curva dove il cogito goffri l’attimo

allora posso disceverare la leggiadria molecolare col guardo eudemonico

*

André Che Isse

I GINOCCHI NEI GIGLI

disoccultai il fuoco rubato alle stelle

per danzare i ginocchi nei gigli e la bocca stivata di nubi

*

un aerostiere su mandorleti d’albume odorosi

ecco come spiego l’ali in dorso d’arciere!

*

ecco come conosco la leggiadria sussurrata dai bracci!

architettura d’aria gualcita da risa di sole van gogh

*

per danzare l’angolo che il gomito fa alla luna

per disbramare dell’alma la lena corriva sui meli

*

dissenno la commozione di bellezza!

tanto d’arcioni in lamassu di pietra rubina

*

e ora che sono cognoscenza e luna

mi nevico addosso campi di gigli argenti

*

André Che Isse

L’IPOTENUSA SUL GUARDO ELISIO

raccolgo leggiadria come girasoli icosaedri scalzi

curvando i bracci per misurare i baci sulla luna

così mi stivo d’argento l’ipotenusa del guardo elisio

*

qui non si tratta di essere diversi ma di essere unici!

come impronte digitali nel miele

del resto il pensiero in aranciera odorosa concerta aseità

*

ho appoggiato le labbra sulla luna senza mai staccarle dai fiori

mentre la velocità della luce ha il sapore dei baci in bocca

ecco perché l’amore profuma di erba tagliata!

*

ecco perché il silenzio ha la stessa materia dell’anima

un onfalion di luccicanza a 12 lune in cesto da giardino barocco

e se curvo la neve danzando posso materiarmi di leggiadria

*

André Che Isse

LA GOLA DI NEVE

Rammemoro la neve in cui silenziò Edran.

ll suo passo narrava l’esserci.

E assieme al cuore

stamburavano i talloni rotondi nell’albume.

L’impronta stampigliata lasciava nel suo guardo falotico

l’invenzione del cartiglio egizio;

firmando così l’incedere tersicoreo di Edran.

Curvare la neve danzando materiava la leggiadria;

come fa l’amore baciandosi in bocca.

E in bocca allo zenit si lasciava stivare la gola di neve;

allora forse sarebbe potuta tralucere l’anima

per luccicanza innevata.

André Che Isse

UN DANZATORE A SANGUE D’ARGENTO

quando finii di contare le stelle mi accorsi che dovevo ancora cominciare
allora un cerchio gaudioso inscrisse i miei ginocchi nel suo bouquet d’elitropi

ricominciai a contare coi diti di fiori a guardo ebro
e ad ogni stella salii un albero vermiglio

nomina i desideri con tutti i cuori che hai!
un sole nero barrisce dietro il guardo amoroso

mentre la luna alluna se stessa in curva
come chiomadoro s’erga faro alessandrino per gli amanti

ho scolpito la leggiadria curvando i ginocchi scalzi
un danzatore a sangue d’argento

ebro mi è l’elmo alato per quadrivio
1001,1002,1003 diti nel miele

André Che Isse

IL SASSO NEL SILENZIO

e se la notte fosse un sasso nero?!
dove sedersi ad aspettare l’anima!
lo lancerei nel giorno al meriggio come luna nel cuore del sole

ma c’è un momento prima della notte dove si può camminare la luna
quando il sole ha i ginocchi nell’oro e i sogni attraversano l’orto di higgs
proprio sull’ipotenusa ebra di dio

allora donare leggiadria è investire con sostanza di nubi
mentre imparo nel loro silenzio imperioso a danzare l’arco di ulisse
quello che curva il pensiero per massa ebra d’idee

ho danzato prima dei meli cupido foriero ignudo eudemonico
catafratto di silenzio increato
e ho raggiunto i bracci alle dita per iniziare il mondo davvero

André Che Isse