D’ARGENTO SCALZO

coi ginocchi affogati nell’oro tracanno l’estate
in girotondi di seità ebra a curvatura di risa giallo van gogh

e l’amore scende le scale nel mezzo elicoidale dei fiori
proprio all’orlo dei baci sull’orizzonte degli eventi scalzi

ho raccolto il mio tempo e l’ho curvato come fiore in un vaso
così che nubi forgiassero l’ansa dei bracci leggiadri

quando ancora l’oro profumi la curva della notte
così l’arcadore di stelle vestito piega di risa la luna

poi contai i passi dal giardino alla fine dell’universo
e sempre la somma dava uguale a quelli di casa

allora conoscevo l’ipotenusa dell’anima!
il lato più lungo dove scivola il cuore

André Che Isse

LA SARABANDA NEL CAPANNO DIETRO L’UNIVERSO

dall’albero nero sculsi i miei sandali scalzi
ora che espungo tutti i luoghi senza seità
rimane l’empirio da cui nacqui elettivo
perché conosco la curva ebra del fuoco
ove nacquero stelle per prime a scaturigine d’ipseità

come fili invisibili arrivati dalla luna
un punto di fuga rinascimentale cribrava l’attimo al singolo passo
tanto che il tempo apostatava dal mondo
così che dal guardo al futuro un palazzo d’argento mi camminasse l’anima

c’è una fragola sul querceto nudo
bastevole a riempire una stella nascente di giallo van gogh
allora ho costruito un capanno con la pelle del guardo

André Che Isse

TANA PER L’ETERNO!

m’inebrio a fresco d’idee
come luce primigenia che tessa le dita di giallo

sospeso zenitale sbandisco domande
solo affabulando risposte materiate a seità rimango

e sempre perambulo per logos leggiadro
che alchimio sciente ad arco ulisside ebro

così piegai il clinamen epicureo coi bracci
tanto da girotondare in sempiterno alla luna scalzo

fui danzatore da quando flagrò il primo sole
e alacre aedo daccapo dopo l’universo

ciò che è cosale null’altro sia che da riempire
perché l’eterno è vuoto senza la sostanza che lo curvi

André Che Isse

M’AGGEGGIO D’ELISIO

accade ai fiori scalzi
un gesto ebro muto buccinatore d’argento
ed eccomi alle crome dell’esserci ignudo

m’aggeggio d’elisio su ginocchi sciroppati di sole
argomentato millanta di ali

albergarsi d’infinito
arrovesciare l’anima per mirarla
appenderne la pelle alle pareti per caderci dentro

se dal nulla posso pensarmi addosso in psicostasie orizzontali
allora sarò nascita nuova ad ogni fendente d’iride
seità contrappuntata a comete di fuoco
sino alla fine elisia del dissenno nadirale

André Che Isse

LA MOLECOLA EBRA DEL SILENZIO

si immerga ipseità in argento allunato scalzo
un silenzio a curvatura barocca sarà pelle per fiato
*
in una pavana per danzatore immoto dietro l’universo
i ginocchi nei fiori non faranno rumore
e la radiazione cosmica di fondo: un bouquet di calle nere in dorso ignudo
*
si riempia ora una zangola di brama leggiadra
e torno di bracci torno mille volte dalla luna ancora e ancora
*
che curvando dal sole seduto l’atomo eudemonico coll’arco
sfrigoli muto il dardo nero alle vele in dorso d’arciere
come così potrebbe l’ala per seità inaurata
*
allora si stenda poi così ben fatto a velo lo spaziotempo in bocca
ed ecco l’esserci ammutato in tazza raku a positura elisia
 
André Che Isse

LA CURVA D’IPOTENUSA EBRA

si prenda un’idea e la si lanci dietro l’universo come sasso piatto sull’acqua
mentre dal talamo si coltivi pieghe di luna

ora, se m’arco d’ebbrezza sul lato più lungo del fiato
potrebbero i ghiacci curvarsi a pieghe barocche di lino

perché l’eterno è la prestezza minima, il passo più corto dell’anima
e la coltura del silenzio è dove si muove il tempo

i ginocchi per salire i ciliegi devono esserci omerici
a patto che si disocculti ogni seità vermiglia

e quando il piacere attraversa scalzo la passione
si contrappunta l’elisio al gaudio

tanto che girotonderò auriga sull’orizzonte degli eventi
fino a mille per mille attraversamenti di cruna increata

André Che Isse